venerdì 13 marzo 2009

Spot on u.net!

da il Mucchio selvaggio, marzo 2009

di Damir Ivic

Ci sono musicisti che partono prevenuti verso i giornalisti, e che forse le interviste non le dovrebbero proprio fare almeno non quelle al telefono. Grandmaster Flash è uno di questi. Ecco come sono andate le cose: quando finalmente riusciamo a parlargli (dopo un suo clamoroso bidone due giorni prima), dopo due minuti al telefono cominciamo una delle domande. Una cosa tipo: “Allora Flash, se ripensiamo agli anni 80…”. Al che lui interrompe e fa: “Avete rotto il cazzo voi giornalisti. Non sapete nulla. Siete ignoranti. Tutti a parlare degli anni 80, Flash di qua, Flash di là, sempre e solo stramaledettissimi anni 80, quando invece l’hip hop è nato nel 1969, hai capito? Sei un ignorante, ecco cosa sei, tu e tutti i tuoi colleghi!”. Caro Grandmaster Flash: sei un grande, sei uno dei padri dell’hip hop, ma ahinoi sei anche un cafone. Se tu non lo fossi stato, e se c’avesse fatto finire la frase, la domanda sarebbe stata: “Se ripensiamo agli anni 80, si va a parare su quando l’hip hop è diventato un fenomeno riconosciuto dalla discografia e dai media ufficiali; ma in realtà le cose nascono almeno un decennio prima, tu non solo c’eri ma sei stato uno dei protagonisti cruciali, è di questo che vorrei farti parlare”. Già. Flash avrebbe sentito questa domanda. Non è andata così. Peggio per lui. Anche perché tutto quello che ci ha detto, in venti minuti, è stato un misto di arroganza e svogliate banalità. Ma, attenzione, cosa ci importa di Grandmaster Flash se abbiamo Renegades of funk di u.net? In realtà ci sarebbe piaciuto eccome parlare con uno dei padrini dell’hip hop e raccogliere aneddoti cruciali, ma il libro appena citato – perché di libro si tratta, pur con cd allegato – è una fonte di enorme valore di aneddoti diretti su quelli che sono i veri inizi dell’hip hop, quelli lontano dai riflettori di radio, tv ed etichette. Dietro lo pseudonimo u.net si nasconde Giuseppe Pipitone, da sempre studioso e fervido appassionato di quel filone della cultura e della storia nera che collega le Pantere Nere con Mos Def passando per le gesta dell’hip hop più autentico, quello originario. Già autore di Bigger than hip hop, con Renegades of funk approfondisce il suo viaggio alla ricerca delle origini del rap quanto dei graffiti, del deejaing e della breakdance, secondo il sacro principio (che si rischia di dimenticare) per cui l’hip hop è l’insieme di quattro discipline. Si va direttamente alla fonte. Non è infatti un libro da musicologo che disseziona con piglio da accademico e/o storico della musica quello che è l’hip hop (l’approccio più comune, vedi alla voce David Toop), è un libro in media res, dove si parla direttamente con alcuni protagonisti – quelli sfuggiti alla ribalta mediatica, quindi per certi versi ancora più interessanti, nel 2009 – affrontandoli con gran rispetto.

Insomma venti euro da sganciare in libreria assolutamente necessari se si vuole respirare l’aria che per davvero ha generato una cultura musicale e non dominato nei decenni successivi, evitando di restare intossicati da generalizzazioni da osservatore freddamente esterno o dai lustrini del mainstream. u.net forse non ha la scorrevolezza dei grandi giornalisti musicali (Reynolds in primis), ma questo a ben vedere più che un difetto diventa quasi un pregio: con la sua scrittura diretta ed essenziale Renegades of funk guadagna in autenticità, è lo scrittore/studioso ad essere al servizio della Storia (con la “s” maiuscola) e non viceversa. E se qualcuno pensa che venti euro per un libro di 240 pagine siano tanti, tenga conto che c’è di mezzo anche un cd: dodici tracce dove per lo più sono nomi forti della scena nostrana contemporanea (Assalti frontali, Esa, Tormento, Macro Macro, e molti altri, diremmo davvero tutti bravi) a creare dei tributi in rap e in beat alla vecchia scuola, quella raccontata dal libro. Tracce davvero ottime, ben rifinite e godibili, non riempitivi monchi messi lì tanto per far numero. C’è cura, dunque, e amore dietro a questo prodotto editoriale. È c’è la testimonianza di una fase storica spesso e volentieri trascurata, sacrificata all’altare del Lill’ Wayne di turno. Ma anche per capire Madib e Flying Lotus e le destrutturazioni futuriste ipercontemporanee intellettuali odierne che tanto ci piacciono è doveroso sapere quali sono le radici, le nude, semplici, sincere radici.

Una delle parti più interessanti del libro è il momento in cui si traccia la storia del primo pezzo hip hop nella storia della discografia, ovvero Rapper’s Delight della Sugarhill Gang. Una storia non propriamente cristallina, dove ad avere la meglio sono i furbi e i biters, ovvero coloro che usano idee altrui: un peccato quasi mortale in un movimento artistico nato unico e originale e che metteva queste stesse qualità in cima alla scala dei valori, all’epoca. Bei tempi.

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